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Monteaperti - 4 settembre 1260

“Bello il posto, vero????”

 

 

La solitudine ed il silenzio che fino ad un istante prima parevano indissolubili vengono rotti improvvisamente da una voce maschile al tempo stesso sicura e gentile che proviene dalle mie spalle; una presenza, quella che mi si para davanti non appena mi volto, che tecnicamente non risultava plausibile visto che pochi istanti prima avevo effettuato il giro del mausoleo senza accorgermi di nessuno che risalisse il pendio o che fosse già nei pressi del monumento, ma di certo da qualche parte era arrivato.

Cosi come vi ero arrivato io da qualche minuto.

 

Finalmente al cospetto di quella architettura commemorativa di un evento tanto celebre quanto importante per la cultura storica delle terre toscane, ma che mai avevo visitato, pur avendo percorso centinaia di volte la strada che si snoda al suo cospetto e che, senza tanto clamore ma con tanta suggestione, mette in comunicazione i Colli del Chianti con le erosioni delle Crete Senesi.

 

“Chiedo venia se l’ho spaventata arrivandole così alle spalle senza farmi sentire signore, non era mia intenzione”

 

continua cordialmente la giovane persona che si ferma al mio fianco dopo aver lasciato alle nostre spalle la solenne figura della piramide per tornare ad ammirare la tranquilla immobilità della breve pianura sottostante e dei morbidi pendii che la interrompono irregolarmente verso l’orizzonte.

Normalmente dovrei risultare infastidito da una presenza umana intervenuta al turbamento del delicato equilibrio instaurato tra me e il paesaggio circostante,  teso alla “comprensione” dei fatti che hanno legato per sempre il nome di Monteaperti alla storia tentando di andare oltre il puro fatto storico, certamente importante, e la magnificazione delle cavalleresche gesta.

 


Perché le battaglie non sono solo fatte di nobili cavalieri ed onorevoli propositi ma anche e soprattutto di fanti, di oscuri soldati che spensero dolorosamente il loro ultimo gemito nel freddo abbraccio della terra spesso, quasi sempre ieri come oggi, per cause che non sono nemmeno le loro.

Ma stranamente la solida ed atletica sagoma non sembra in alcun modo turbare ne le mie riflessioni ne l’atmosfera fino a quel momento respirabile.

“Certo che è difficile immaginare quello che è successo davvero quel tragico giorno, probabilmente impossibile andare oltre la classica visione dei fieri cavalieri che si fronteggiano con le loro lucenti armature in sella a neri destrieri sotto i quali sia agitano migliaia di sacrificabili comparse, eppure pochissimi erano i Signori  come tanti erano i fanti che versavano il loro sangue ed urlavano il loro dolore, perché pensare solo ad immedesimarsi in ciò che molti non sarebbero stati??”

 

Sorpreso da affermazioni che sembrano leggermi non solo nel pensiero, osservo il volto fermo che, perso nella contemplazione del paesaggio, si adorna di un piacevole sorriso,

Il sole prossimo al tramonto scalda i colori del quadro che osserviamo con tranquilla avidità, ma la immobile scena adesso sembra tremolare nel sovrapporsi della irrequieta illusione, nella visione di ciò che fu e che nella terra ha impresso la sua essenza, terra che sembra voler raccontare di quando la follia la sconvolse un giorno di estate di secoli fa e migliaia di uomini si affrontarono per soddisfare la sete di potere dei grandi condottieri e nobili Signori indiscussi primattori della scena politica e militare di quel grande teatro che fu l'Europa del XIII sec.

E' infatti a partire dal 1200 che la conflittualità tra Guelfi e Ghibellini trova il suo apice con la identificazione delle città di Firenze e Siena come roccaforti dei rispettivi schieramenti, in palio nella sanguinosa contesa il potere economico e politico che suggeriva scenari ben più ampi del semplice scontro tra le due vicine città per il controllo dei traffici economici ed il prestigio delle famiglie reggenti.

 

La causa ufficiale dell’inevitabile scontro di Monteaperti fu il mancato rispetto da parte di Siena del divieto di accogliere al suo interno chi fosse stato bandito da Firenze, divieto che nel caso degli esuli Ghibellini essa non poteva rispettare a causa del patto di mutua assistenza precedentemente siglato.

Fu così che il 2 settembre 1260 i Guelfi, che nel frattempo avevano conquistato due importanti roccaforti Ghibelline come Montepulciano e Montalcino e tentato un primo assedio alla città nel maggio subito reso vano dall’attacco delle forze Senesi, inviarono due ambasciatori a Siena per invitarla a quella resa che la città del palio avrebbe sdegnosamente rifiutato, forte della presenza nascosta di alcuni fedelissimi tra le file Guelfe come il celeberrimo Farinata degli Uberti.

Guelfi Fiorentini e Ghibellini Senesi non erano soli sul campo di battaglia che si stava preparando, gli interessi in gioco erano ben più alti, l’alleanza Ghibellina infatti vedeva coinvolta, oltre alle città di Pisa e Arezzo, la attuale reggenza Sveva rappresentata da Manfredi, figlio dello scomparso Federico II di Svevia e imperatore della stessa casa; dalla parte Guelfa erano invece rappresentati gli interessi del Re di Francia e quelli velati del Papato.

Fu grazie ad un accorta strategia ma anche e soprattutto al tradimento avvenuto improvviso all’interno delle file Guelfe che alla fine del 4 settembre 1260 dopo lunga e sanguinosa battaglia le milizie Ghibelline misero in fuga l’esercito Guelfo, la perdita dello stendardo caduto con il moncone della mano del vessillifero tranciata dal fiorentino Bocca degli Abati segnò l’inizio della disfatta dei Guelfi ai quali attaccati contemporaneamente su più fronti non restò che la fuga. 

 Osservo con la coda dell'occhio il mio inatteso compagno, marziale nella sua postura che sembra per un attimo tradire una infinita stanchezza così come l'ombra che improvvisamente ne sconvolge i tratti cancellandone la gioventù e trasfigurando il suo sorriso in una dolorosa smorfia, i miei ricordi adesso sono i suoi.....

Oltre 10.000 furono i morti di parte Guelfa inseguiti dalla furia Ghibellina e massacrati fino al sopraggiungere della notte, carne senza nome contro carne senza nome, Cavalieri vittoriosi che ordinano la carneficina ebbri di odio e di follia, 16.000 invece i prigionieri che furono fatti sfilare per le via di Siena esposti allo scherno della popolazione.

Siena raggiunge così il massimo splendore politico paradossalmente nello stesso momento in cui inizia la sua inarrestabile parabola discendente, la scomunica Papale che immediatamente colpì i Ghibellini ne erose progressivamente il prestigio ed il potere economico e mentre la voglia di vendetta raggiunge il suo apice con la volontà di radere al suolo, dopo le abitazioni degli sconfitti, la stessa città di Firenze presa il 27 settembre 1260, (con fatica scongiurata dall’intervento di Farinata degli Uberti) i Guelfi si organizzavano per il ritorno al potere.

La vittoria Senese si rivelò ben presto più un episodio che un fatto significativo per la modifica stabile degli equilibri di potere, pochi anni più tardi, nel 1269, infatti la fazione Ghibellina fu sconfitta nella battaglia di Colle e da quel momento potere Guelfo torno a governare.

 

 

“lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso”

 

 

Respiro profondamente l’aria che avvolge il panorama di nuovo tranquillizzante per poi osservare il volto di nuovo rilassato della evanescente presenza al mio fianco ed ascoltare le sue parole.

 

“Orribile vero?? Non esiste solo una realtà, esiste ciò che si vuole vedere e ciò che si vuole ascoltare, le battaglie hanno certo rappresentato motivo di gloria e di prestigio per i condottieri ma nulla di tutto ciò è mai stato conferito ai veri attori della tante carneficine che hanno sottolineato il nostro percorso storico, ed un tempo almeno i condottieri avevano l’obbligo di essere i primi a lanciarsi nella mischia…”

 

Ancora una volta i suoi pensieri sono i miei ed ancora una volta prima che possa concretizzare la domanda che nasce inarrestabile egli mi risponde: 

 

“Chi sono Messere?? se questo avvenimento seguisse la trama di qualche film lei potrebbe illudersi di essere sicuramente al cospetto  del nobile cavaliere tedesco Gualtieri d'Astimbergh che lancia in resta si gettò per primo nella mischia, o magari di Aldobrandino Aldobrandeschi o di chissà che altro invincibile Cavaliere, ma se lascia alla sua immaginazione il compito di correre libera spogliandosi dai condizionamenti e delle manipolazioni di cui da tempo siete vittime, saprà riconoscere chi io sono senza dubbio alcuno.

Io sono il niente, io sono carne da macello, io sono una apparizione senza gloria e senza onore, sono il grido di dolore che si sperde tra mille nella notte, sono il sangue del quale anche il sommo poeta narra, sono la carne che calpestano insensibili gli zoccoli dei cavalli, sono ciò che mai ha avuto diritto a che mai avrà onore, polvere che torna polvere senza che la storia ne narri le gesta o ne onori la vita.

Io sono voi, io/noi/voi siamo la storia."

 

Improvvisamente di nuovo solo, come del resto sempre ero stato in quei minuti, osservo il sole di fine estate spegnersi lentamente dietro i colli come lentamente si sopisce la mia suggestione, un breve alito di vento agita i bassi steli erbacei prima che tutto torni rispettosamente immobile, prima che il rombo della mia moto turbi per un breve momento il religioso silenzio, prima che il calore del tramonto abbracci il mio corpo e rimuova il freddo che per un instante infinitesimale ha impugnato la mia anima.

 

Oggi 18 aprile 2018, 758 anni dopo la tragica notte in cui il cielo pianse all'ascolto degli struggenti lamenti delle migliaia di anime che a lui salirono e la terra e le acque ne bevvero il sangue

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